Attrarre talenti attraverso un’efficace comunicazione aziendale
Come rendere la propria azienda un luogo di lavoro appetibile, in cui si desideri entrare ma soprattutto rimanere? Comunicando con costanza il proprio valore, all’interno e all’esterno. Analizziamo gli strumenti e le modalità di comunicazione a disposizione delle aziende e quali contenuti siano il veicolo più efficace per trasmettere la migliore immagine aziendale.
In un mercato del lavoro sempre più competitivo come quello odierno, attrarre e fidelizzare i migliori talenti è diventato un obiettivo prioritario per ogni azienda.
A questo proposito una sempre maggiore attenzione viene data al concetto di Employer Branding, ossia la strategia finalizzata a creare un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’impresa come employer (datore di lavoro), in sintonia con il target di riferimento, attraverso la quale attrarre e trattenere persone di talento.
Le statistiche ci dicono che il 75% delle persone che cercano un lavoro sono più portate a inviare una candidatura se l’azienda gestisce attivamente l’Employer Branding, e, quando questo è negativo, possono esserci ripercussioni non solo internamente all’azienda ma anche sulla percezione del brand da parte della clientela.
Approfondiamo l’argomento intervistando Alessandra Mazzei, Professoressa associata di Economia e gestione delle imprese presso l’Università IULM, Milano, dove insegna Comunicazione d’impresa, Brand e corporate communication, Internal Communication and Change Management, Organization Theories and Human Resources Management.
Il Talent Journey: un percorso strutturato che accompagna la risorsa aziendale
Prof.ssa Mazzei, i datori di lavoro sono sempre più consapevoli dell’importanza che la forza lavoro riveste all’interno dell’organizzazione, tanto da dedicarvi un vero e proprio “percorso per i talenti”, il cosiddetto Talent Journey. Di che cosa si tratta e che ruolo riveste la comunicazione nei diversi step?
Le risorse umane da sempre rivestono un ruolo di fondamentale importanza all’interno dell’azienda, e oggi questa consapevolezza va aumentando perché proprio le competenze e la brillantezza delle risorse umane determinano la capacità di un’azienda di crescere, adattarsi ed innovare. Attrarre talenti diventa quindi un percorso studiato e strutturato in fasi precise, che, nell’insieme chiamiamo Talent Journey.
Talent Attraction
Il primo step di questo Journey ha inizio addirittura prima dell’entrata in azienda della risorsa, e consiste nell’attrarre talenti attraverso la comunicazione che l’azienda fa di se stessa. Si tratta quindi di farsi conoscere presso specifici bacini da cui attingere potenziali talenti, e già questo è un momento di comunicazione importante: infatti scegliendo dove pubblicare le proprie offerte di lavoro – se sul proprio sito web, sui Social Network, affidandosi a reti di relazione oppure coinvolgendo le università – l’azienda inizia a dare già una prima immagine di sé ai possibili candidati.
Recruitment
La seconda fase del Talent Journey è quella del reclutamento momento nel quale l’approccio e le modalità di gestione fanno davvero la differenza. Le procedure possono essere automatizzate, e quindi più fredde, oppure relazionali e personalizzate, in modo da prevedere un feedback per tutte le candidature. In ogni caso anche questa fase, mentre svolge la propria funzione, dà messaggi sul carattere dell’azienda.
Onboarding
I candidati selezionati diventano poi operativi e vengono a contatto non solo con la propria posizione lavorativa ma con la realtà aziendale in quanto tale. E’ proprio a questo punto che iniziano a crearsi le basi di quello che sarà poi l’engagement e l’orgoglio verso la propria azienda. A rendere più complesso questo inserimento c’è il fatto che oggi, a differenza del passato, esso può avvenire in modalità ibrida e quindi la trasmissione di competenze e valori non è diretta e a stretto contatto, bensì rarefatta e da remoto.
Talent Management
Durante la permanenza del collaboratore in azienda vengono poi attuate tutte quelle strategie di crescita della risorsa, attraverso le possibilità di formazione, job rotation e sviluppo di carriera. Questa fase incide enormemente sul livello di soddisfazione e benessere del lavoratore determinando il maggiore o minore attaccamento nei confronti del proprio Employer.
Retention
A un certo punto della propria carriera il collaboratore può decidere di cambiare posto di lavoro: quello che un tempo era visto come un fallimento, oggi è considerato come parte del processo di crescita professionale, e quindi avviene con maggior frequenza. L’azienda desidera naturalmente evitare il più possibile questa circostanza e dunque mette in campo una serie di tattiche mirate a trattenere il più possibile le figure talentuose.
Offboarding
Se infine si verifica l’uscita della risorsa, ciò non deve essere visto come un fallimento da nessuna delle due parti, bensì è importante che questa fase sia accompagnata, positiva, lasci una porta aperta e mantenga viva la relazione. Sarebbe ideale far sì che il lavoratore non vada via “sbattendo la porta” e le relazioni non dovrebbero mai essere conflittuali: infatti è altamente probabile che si ripresentino in futuro occasioni per collaborare nuovamente insieme.
Come abbiamo visto, nel corso del Talent Journey vengono effettuate numerose attività di comunicazione: esse sono fondamentali non solo per rendere la risorsa in grado di operare, ma anche perché l’azienda dia segnali chiari sulla propria identità.
Se infine si verifica l’uscita della risorsa, ciò non deve essere visto come un fallimento da nessuna delle due parti, bensì è importante che questa fase sia accompagnata, positiva, lasci una porta aperta e mantenga viva la relazione. Sarebbe ideale far sì che il lavoratore non vada via “sbattendo la porta” e le relazioni non dovrebbero mai essere conflittuali: infatti è altamente probabile che si ripresentino in futuro occasioni per collaborare nuovamente insieme.
Come abbiamo visto, nel corso del Talent Journey vengono effettuate numerose attività di comunicazione: esse sono fondamentali non solo per rendere la risorsa in grado di operare, ma anche perché l’azienda dia segnali chiari sulla propria identità.
Il Benessere organizzativo: coesione aziendale e dei team
Il coinvolgimento e la retention dei dipendenti passa per il cosiddetto “benessere organizzativo”. Quali sono i fattori che determinano la positività di un ambiente lavorativo e come vengono valutati dagli aspiranti candidati e dai dipendenti in forza?
Innanzitutto “Benessere organizzativo” è davvero un concetto chiave e mi auguro che non passi presto di moda come una delle tante e semplici buzzword. Il benessere sul luogo di lavoro incide notevolmente sullo stato psico-fisico dell’individuo, quindi è lecito pensare che ogni azione che viene svolta in azienda abbia di fatto una ripercussione sul grado di felicità medio della popolazione.
Se consultiamo studi e ricerche, ma se anche ci basiamo sulle nostre esperienze personali, rileviamo che molto spesso le persone tendono a lamentarsi del proprio lavoro e a esprimere sensazioni di malessere. Eppure quando una risorsa viene inserita in azienda è piena di motivazione e di buoni propositi: viene da chiedersi come accada che questo patrimonio venga poi disperso. Ragioniamo quindi su alcuni dei fattori che possono incidere:
- la qualità delle relazioni in azienda, con capi diretti e colleghi: eventuali conflitti o disguidi che si creano rischiano di essere dei fardelli che impediscono al lavoratore di operare in serenità. Da questo punto di vista è responsabilità di capi e manager non solo essere modelli di esempio, ma anche agire promuovendo comportamenti relazionali positivi o al contrario sanzionando quelli negativi.
- la giustizia organizzativa: ossia la trasparenza nei processi di valutazione, di riconoscimento e di crescita. Infatti, nel momento in cui la gestione delle risorse umane risulta poco chiara o iniqua, si genera inevitabilmente un senso di disagio. Ricordiamo che le persone sono inclini a dare il meglio di sé nell’ambiente lavorativo dal momento che esso rappresenta un’importante quota della loro vita e desiderano viverla al meglio.
- il welfare aziendale: da uno studio (ancora in corso) realizzato dal nostro centro di ricerca CERC è emerso che quando si pensa al benessere aziendale ci si focalizza spesso sul pacchetto dei cosiddetti “benefit”. Senza dubbio questa è una base, ma l’azienda non può pensare di assolvere al compito senza occuparsi di tutto l’aspetto relazionale.
- l’equità e l’inclusione: la creazione di condizioni di opportunità per tutti che contemplino anche le diversità contribuisce a creare un clima sereno e positivo.
- il lavoro flessibile (da non confondere con il lavoro remoto): la possibilità di avere orari flessibili viene tenuta in grande considerazione perché permette di coniugare le esigenze della vita privata con quelle lavorative. Ancor più che poter lavorare da remoto, avere una buona dose di autonomia organizzativa dei tempi e delle modalità di lavoro è senza dubbio un elemento cruciale: l’auto-organizzazione del proprio lavoro infatti è un desiderio che emerge chiaro dalle interviste a lavoratori effettuate per le nostre ricerche.
Nel complesso quindi il benessere sul luogo di lavoro è un delicato sistema che si compone di diversi fattori, gestionali, organizzativi e soprattutto relazionali.
L’Employee Ambassador: un testimonial prezioso
I collaboratori sono un importante veicolo di comunicazione del valore del Brand “as an Employer”: ci parli della figura dell’Employee Ambassador e di quali possono essere le forme di comunicazione più efficaci per veicolare il proprio feedback all’interno e all’esterno dell’azienda.
Accanto agli strumenti promozionali più tradizionali come le campagne pubblicitarie e le media relation, un driver di comunicazione primario è quello del passaparola da parte dei lavoratori stessi, che rappresentano dei testimonial diretti e molto informati sul Brand. L’opinione e il feedback di queste risorse vengono infatti ritenuti dagli stakeholder molto più attendibili e credibili di qualsivoglia comunicazione studiata a tavolino.
Un Brand Ambassador è tale quando diffonde il buon nome dell’azienda ogni volta che ne ha occasione, la difende quando viene criticata, condivide informazioni o messaggi su prodotti e uscite. E’ importante sottolineare che questa figura non ha nessun incarico ufficiale nell’ambito della comunicazione e quindi si tratta di “non-addetti ai lavori”.
La domanda quindi è: come si creano questi comportamenti di Brand Ambassadorship?
Innanzitutto non possono essere prescritti, e devono essere suscitati in maniera indiretta, altrimenti verrebbero percepiti come imposti e di conseguenza rifiutati.
In sostanza si deve far sì che il collaboratore si senta così orgoglioso e motivato a parlare bene della propria azienda e difenderla dalle critiche da sentire il desiderio di farlo spontaneamente.
Per questa sua natura estremamente personale e genuina, il feedback dell’Employee Ambassador è ritenuto di straordinaria importanza e in molti casi esistono veri e propri programmi per questo tipo di comunicazione, sempre però ad adesione volontaria. Si tratta di generare a livello corporate contenuti di valore che vengono apprezzati e condivisi dai collaboratori, tanto da volerli amplificare e diffondere presso la propria rete di contatti e i propri social media personali. Questa modalità viene spesso utilizzata anche per la promozione e la diffusione interna all’azienda di determinati progetti, accanto agli strumenti e ai canali di comunicazione più tradizionali.
La comunicazione dei Leader tra responsabilità ed esempio
La motivazione dei collaboratori è alimentata dalla cultura aziendale e perché abbia successo deve essere condivisa, dai manager in primis, capaci di dare l’esempio e diffonderla a tutti i livelli. Quali sono le migliori strategie di comunicazione per i leader aziendali?
Occorre innanzitutto fare una distinzione tra due livelli di comunicazione: quella dei Top Manager e quella dei Manager diretti.
Dai direttori di primo piano i collaboratori si aspettano di ricevere messaggi sulla visione a medio e lungo termine dell’azienda, per capire dove si è e dove si vuole arrivare. E’ quindi molto importante che questo tipo di comunicazione venga fatta proprio da queste figure, magari in occasione di convention o eventi aziendali, oppure in podcast – a seconda di ciò che l’azienda ritiene più consono.
Il secondo tipo di comunicazione è invece quello dei capi diretti: si tratta anche in questo caso di leader communication, altrettanto importante, ma ad un livello più operativo e di maggiore vicinanza fisica e quotidiana con i membri dello staff. Emerge in modo chiaro da studi e ricerche che i collaboratori preferiscono ricevere notizie ed informazioni direttamente dal proprio capo piuttosto che da una Newsletter. Sicuramente la Newsletter è uno strumento insostituibile ed ufficiale che deve esistere, ma sarebbe opportuno che i Manager diretti riprendessero questi contenuti e li riportassero al proprio team spiegandoli, perché questo contribuisce alla qualità del benessere organizzativo di cui abbiamo parlato prima.
Per quanto riguarda il tipo di comunicazione da parte dei Leader, essa dovrebbe essere definita come “responsive” cioè calda, amichevole, sincera, comprensiva e aperta all’ascolto. Si tratta di caratteristiche estremamente difficili da ottenere perché il Top Manager è di solito lontano fisicamente e temporalmente dai propri collaboratori. Un vecchio adagio parla del “managing by walking” ossia il direttore dovrebbe camminare nei corridoi e tra le scrivanie, per farsi vedere ed avvicinarsi al team, creando occasioni di comunicazione, e ridurre la percezione di distanza esistente. Importante ma difficile da realizzare, anche se abbiamo esempi concreti che dimostrano il successo di questo approccio.
Il piano di comunicazione per un Employer Branding efficace: strategie e canali di comunicazione
Promuovere l’Employer Branding è un vero e proprio processo strutturato che ha alla base un piano di comunicazione mirato ed efficace: Prof.ssa Mazzei, quali sono gli elementi chiave e i canali più idonei per realizzarlo?
L’Employer Branding è un processo chiave che implica una vera e propria costruzione dell’identità di un’azienda come un luogo in cui sia desiderabile lavorare. Esistono addirittura delle classifiche (ad esempio “ Best Places to Work” ma ce ne sono numerose altre) in cui i Brand mirano ad ottenere certificati di eccellenza non solo come produttori di beni o fornitori di servizi, ma proprio come datori di lavoro.
Il costrutto quindi è talmente importante da non poter essere lasciato all’improvvisazione e anzi richiede per il suo sviluppo un’attenta pianificazione.
Come per qualsiasi progetto è necessario applicare le logiche di pianificazione tout court, e partire definendo gli obiettivi: che tipo di posizionamento si vuole avere, qual è la Employer Value Proposition, che tipo di datore di lavoro l’azienda vuole essere.
Un secondo step è poi l’analisi degli interlocutori: occorre definire il profilo dei collaboratori a cui si vuole puntare: ad esempio se specialisti con competenze molto mirate oppure figure con competenze multidisciplinari. O ancora se si desidera costruire team omogenei o si vuole promuovere la diversità.
Successivamente si passa all’elaborazione dei messaggi chiave sulla base dei target da raggiungere. Una volta definiti questi due elementi verrà da sé anche la selezione dei canali attraverso cui veicolare queste comunicazioni: dai social media tradizionali, a quelli più innovativi, oppure avvalendosi di Head Hunters.
Vorrei poi sottolineare (proprio per il lavoro che faccio) l’importanza delle università tra i canali di reclutamento di collaboratori. Le università sono straordinari bacini a cui attingere per aziende che siano alla ricerca di neolaureati, ma non solo: infatti grazie ai Career Services le università offrono opportunità di inserimento per i propri ex-alunni. Attraverso rapporti di partnership solidi e continuativi – da preferire rispetto a interventi occasionali legati alla ricerca di uno specifico candidato – le aziende possono attivare non solo ricerche e selezioni di talenti, ma anche concordare un coinvolgimento nella didattica o nella ricerca, facendo presentazioni in aula che contribuiscono a farsi conoscere con una modalità di comunicazione molto vicina e in forma di dialogo.
Infine, come per ogni piano di comunicazione, anche nell’Employer Branding devono essere previste delle modalità di misurazione della performance con indicatori per la valutazione del successo delle varie campagne di reclutamento. Vogliamo ottenere un gran numero di candidature e di cv per la nostra banca dati? O piuttosto attrarre talenti mirati? Anche in questo caso sarà l’azienda a fare le dovute considerazioni definendo la propria strategia di Employer Branding.
PROF. MAZZEI
Docente di Comunicazione d’impresa presso l’Università IULM dove è anche Coordinatrice del corso di laurea triennale di Comunicazione d’impresa e relazioni pubbliche; fondatrice e Direttrice del Centre for Employee Relations and Communication; componente del Collegio dei docenti del Dottorato in Comunicazione, mercati e società.
Tra le sue principali pubblicazioni:
Mazzei, A., Quaratino, L., & Ravazzani, S. (2021). Internal Crisis Communication in the Time of Covid-19 Pandemic. Company strategies and working experience of employees, FrancoAngeli OpenAccess
English version
Mazzei, A., & Quaratino, L. (2020). Rapporto sulla comunicazione interna nelle aziende italiane, FrancoAngeli OpenAccess
Italian version
Silvia Ravazzani; Alessandra Mazzei; Alfonsa Butera; Chiara Fisichella, DIVERSITY, EQUITY & INCLUSION. Stato dell’arte nelle aziende italiane, FrancoAngeli OpenAccess
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